L’arco compound nasce, a livello di idea, nel 1966, frutto della mente di Wilbur Allen. Il sistema di carrucole eccentriche che fonda il meccanismo degli archi compund è riconducibile alla meccanica di una carrucola semplice con fulcro, però, posizionato non al centro geometrico della ruota. Per capire come funziona un arco compound occorre quindi, in primo luogo, chiarire che il sistema di carrucole pur essendo una leva di primo genere possiede un asse di rotazione eccentrico.
Le leve di primo genere sono quelle cha possiedono un fulcro collocato tra la potenza e la resistenza, ovvero tra il punto su cui viene applicata la forza e il relativo peso da spostare. La carrucola è in sostanza una ruota libera che puà ruotare attorno a un perno, in cui si colloca un cavo entro una scanalatura. Come detto, tuttavia, nel caso degli archi compound il fulcro non è nel centro geometrico della carrucola ma è eccentrico.
Ciò ha una fondamentale conseguenza: si ottengono due bracci di leva, uno di potenza collegato alla corda dell’altro e l’altro di resistenza, legato al flettente opposto alla carrucola. Ma come si genera l’effetto compound? Ecco un passaggio dal classico manuale di tiro con l’arco di Brizzi e Ferraro:
La realtà ci presenta invece un peso che cresce ed un braccio di leva di potenza che cresce pure esso, a scapito di quello di resistenza. La combinazione di questi due effetti è proprio il nostro “effetto compound”. Il rapporto tra braccio di potenza e braccio di resistenza del nostro eccentrico è ciò che definisce il “let-off” del nostro arco compound. Più alta è l’eccentricità, cioè più alta è la differenza di lunghezza tra i due bracci, più alta sarà la nostra percentuale di riduzione del carico all’allungo definito.
Ed ecco quindi l’arco compound, con due carrucole eccentriche su ogni flettente, una di dimensioni maggiori collegata alla corda, l’altra collegata al flettente opposto (definibili, riprendendo quanto detto in precedenza, come eccentrico di potenza ed eccentrico di resistenza).
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