Le spese militari mondiali che costituiscono il 2.3% del prodotto interno lordo di tutto il mondo, riprendeno ad aumentare. E’ la prima volta che accade dal 2011. Nel 2015 sono state pari quasi a 1.7 miliardi di dollari con un aumento dell’ 1 per cento in termini reali: lo rivela l’ultimo rapporto dell’International Peace Research Institute di Stoccolma (Sipri), ente che si occupa di monitorare, raccogliere e rendere noti in forma neutrale e indipendente i bilanci relativi a ogni paese considerata ogni voce di spesa pubblica in materia: come e quanto ogni governo del mondo abbia investito in eserciti, armi, forze paramilitari, ministeri per la difesa e agenzie governative nel corso dell’ultimo anno.
L’aggiornamento annuale completo del Sipri military database spese è stato da poco pubblicato ed è disponibile sul sito dell’istituto di Stoccolma.
Era dal 2011 che i dati non mostravano questo rialzo: per la prima volta dal rientro di molti contingenti militari americani e alleati da Iraq ed Afghanistan in un clima di crisi economica globale, la spesa militare a livello planetario, pari quasi a 1,7 miliardi di dollari nel 2015, sta aumentando dell’1 per cento.
Ma come è ripartita? Chi spende di più? L’incremento riflette la continua crescita in Asia e Oceania, Europa centrale e orientale, e in alcuni stati del Medio Oriente, mentre c’è una contrazione in Occidente. Ed è diminuita in Africa e America Latina e nei Caraibi. Il quadro, come si vede, è complesso e diversificato.
Gli Stati Uniti, che da soli occupano il 36% di voce di spesa, sono i primi per acquisto di armamenti nel 2015 (pur rimanendo in lieve calo, pari al 2%, la loro spesa rispetto all’anno precedente), subito seguiti da Cina, Arabia Saudita considerando la voce di spesa per la guerra in Yemen, e Russia.
La Russia in base al tasso di crescita di fatto sarebbe al primo posto, con il 7.5% di investimenti in più rispetto al 2014, attribuibile al suo sostegno ai separatisti ucraini e all’annessione della Crimea. A seguire, Regno Unito, India, Francia, Giappone, Germania, Corea del Sud. L’Italia è al dodicesimo posto, con una spesa militare 2015 di quasi 24 miliardi di dollari, in generale calo durante tutto l’ultimo decennio.
La spesa militare nel 2015 presenta tendenze contrastanti – ha chiarito Sam Perlo Freeman, responsabile del progetto di spese militari del Sipri – da un lato, riflette l’escalation di conflitti e tensione in molte parti del mondo; dall’altro, i rapporti tra la crisi del prezzo del petrolio e le spese militari degli ultimi dieci anni. Questo status economico e politico instabile crea un quadro incerto per gli anni a venire.
Se il trend in Occidente di fatto resta all’insegna della contrazione, si prevede che Regno Unito, Francia che Germania potrebbero presto rinvigorire gli investimenti militari per la minaccia dell’Isis e del terrorismo a cui si aggiunge la preoccupazione per il peso politico della Russia.
Nel resto del mondo, la spesa militare in Asia e Oceania è cresciuto del 5,4 per cento nel 2015, fortemente influenzata dalla Cina e dal crescere delle tensioni con i paesi dell’area.
Nel Medio Oriente è aumentata del 4,1 per cento in alcuni paesi. Spicca il caso Iraq che dal 2006 al 2015 ha moltiplicato di oltre 5 volte (pari al 536%) le proprie risorse milutari, più di qualsiasi paese del mondo in quel periodo. Per altri paesi dell’area non si hanno dati disponibili.
Le previsioni per il prossimo futuro sono legate all’oscillazione del prezzo del petrolio, visto che dal 2014 nei paesi dove è crollato, è diminuita la spesa militare. Ma ci sono le eccezioni: paesi come Algeria, Arabia Saudita, Azerbaijan, Russia, Vietnam coinvolti in conflitti che, nonostante la diminuzione delle entrate dai proventi del petrolio, hanno continuato ad accrescere la propria spesa militare.
Fonte sipri.org
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